Nel mese di dicembre dello scorso anno, con l'approvazione della Direttiva comunitaria n. 2001/97
(1) si è pervenuti, dopo una lunga ed estenuante negoziazione, all'adeguamento della normativa antiriciclaggio che, nel nuovo testo, entrerà in vigore all'interno dei Paesi aderenti all'Unione Europea nel 2003.
La nuova disciplina, sebbene avente efficacia territorialmente delimitata a 15 Paesi, è destinata a produrre virtuosi effetti indotti anche in ambiti più estesi atteso l'effetto di conformazione che di norma esplicano simili iniziative.
(2)
L'importante risultato, favorito dal forte impatto emotivo provocato dal terribile attentato dell'11 settembre scorso contro le torri gemelle del World Trade Centre, si colloca al capolinea di un travagliato dibattito relativo all'armonizzazione delle misure di contrasto alle più agguerrite forme di criminalità.
La tragedia newyorkese ha mostrato a tutto il mondo una, per certi versi, insospettata disponibilità di mezzi finanziari da parte di alcune organizzazioni terroristiche, rendendo di immediata percezione il pericolo connesso al riciclaggio dei capitali illegali che si è oggi rivelato un possibile strumento di finanziamento anche per attività eversive.
I nuovi scenari internazionali hanno quindi costretto la Comunità internazionale a prendere atto dello stato di inadeguatezza in cui versa l'attuale sistema antiriciclaggio e del ritardo con il quale viene adeguato alle esigenze concrete determinate dalla continua evoluzione delle tecniche criminali.
L'inserimento della lotta allo specifico fenomeno come parte integrante della più ampia strategia di aggressione globale al crimine organizzato rappresenta una necessità percepita solo in tempi relativamente recenti dai legislatori penali che in passato hanno spesso sottovalutato l'impatto negativo del reinvestimento dei capitali sporchi nei circuiti economici legali.
Una certa sensibilità verso il fenomeno è maturata infatti solo nel corso degli ultimi anni, quando l'evoluzione organizzativa delle associazioni criminali, l'entità delle masse liquide da queste realizzate principalmente con la gestione dei traffici di sostanze stupefacenti, e la ventata di liberalizzazione che ha investito i sistemi economici mondiali, hanno fatto delle attività di riciclaggio un elemento di turbativa dell'economia legale ed una minaccia per lo stesso libero sviluppo del sistema democratico.
I vantaggi economici conseguibili con una gestione in forma organizzata delle attività criminali hanno stimolato una trasformazione delle associazioni malavitose
(3) che si sono dotate di strutture organizzative polivalenti di dimensione transnazionale,
(4) capaci di gestire una diversificata gamma di attività illecite spaziando in tutti i settori che presentano significative potenzialità di guadagno.
L'entità dei profitti così realizzabili è di gran lunga superiore a quella strettamente necessaria a soddisfare le esigenze di autofinanziamento della struttura criminale e richiede, per le eccedenze, che accanto ai tradizionali business illegali, venga sviluppata una ulteriore serie di attività lecite, commerciali, finanziarie e logistiche che consentano una perfetta integrazione dei network criminali nel sistema economico nazionale ed internazionale.
(5)
Per contro, sul piano economico si assiste alla progressiva formazione di un contesto di riferimento che rende più agevoli, rapide e sicure le operazioni economiche, finanziarie e commerciali attraverso le quali è possibile dissimulare l'origine di beni, capitali o altre entità economicamente valutabili.
Il processo di globalizzazione in atto in questo inizio di terzo millennio, definito da alcuni come la più significativa svolta economica dai tempi della rivoluzione industriale,
(6) sta infatti determinando la fusione dei sistemi economici e finanziari locali in un unico grande mercato integrato caratterizzato da una rilevante espansione della liquidità dovuta ad una crescita di straordinarie proporzioni delle attività finanziarie: crescita alimentata, oltre che dall'aumento dei partecipanti al mercato, anche dall'emissione di nuovi titoli principalmente di debito, dall'aumento di valore dei titoli già presenti sul mercato e, soprattutto per quanto riguarda l'oggetto del presente elaborato, dalla conversione di attività tradizionalmente non liquide in titoli negoziabili.
A questo si aggiungono un'ulteriore serie di fattori quali il progressivo abbattimento delle barriere commerciali, gli sviluppi della telematica e la liberalizzazione della circolazione dei servizi finanziari che, di fatto, consentono alla malavita di ottenere la massimizzazione delle opportunità con la minimizzazione del rischio di essere individuati, arrestati e di avere confiscate le ricchezze.
(7)
La disponibilità di risorse finanziarie a costo zero consente inoltre all'imprenditore criminale
(8) di operare ignorando le più elementari regole di economicità determinando le proprie condotte con grande autonomia dal mercato, dai concorrenti e dai consumatori.
(9)
Le aziende che possono accedere a tali forme di finanziamento, indipendentemente dal possesso di situazioni di vantaggio competitivo di natura imprenditoriale, acquisiscono o consolidano una posizione dominante
(10) che prescinde in tutto o in parte da regole di mercato determinando nella concorrenza condizioni di debolezza che favoriscono ulteriormente l'espansione ed il consolidamento dei presidi criminali nel tessuto economico legale.
(11)
La dimensione delle masse monetarie di provenienza illecita è altresì tale da stimolare forme di competition in laxity fra gli ordinamenti nazionali, provocando la canalizzazione di grandi masse finanziarie verso sistemi caratterizzati da blande normative antiriciclaggio, organismi di vigilanza dotati di scarsi e poco penetranti poteri di controllo e rigide normative a tutela del segreto bancario.
La conseguente definizione di strategie finanziarie che prescindono, anche solo parzialmente, dalla remuneratività a vantaggio di simili fattori, provoca enormi ed apparentemente imprevedibili movimentazioni di capitali suscettibili di generare effetti macroeconomici distorsivi incidenti finanche sulla volatilità dei cambi e dei tassi giungendo, talvolta, a condizionare le scelte di politica economica di alcuni Governi.
(12)
Il quadro di situazione illustrato ha reso necessario un ampliamento di prospettiva delle azioni di contrasto concepite, sino a pochi anni addietro, prevalentemente in chiave repressiva e su base nazionale.
Simili miopi approcci non sono più adeguati all'attuale atteggiarsi del fenomeno che richiede risposte ordinamentali efficaci, tempestive e coordinate, sia sul piano interno che su quello internazionale, capaci di favorire l'aggressione dei capitali illeciti attraverso strategie integrate da applicarsi su vasta scala in maniera quanto più uniforme possibile, nonché modelli di cooperazione e coordinamento operativi, fra organismi di polizia e di vigilanza finanziaria, capaci di incrementare l'efficacia delle attività di contrasto.
Tale consapevolezza ha stimolato una serie di iniziative che hanno prodotto, all'interno di numerosi Stati, un processo di revisione delle normative in materia che ha portato alla criminalizzazione quasi generalizzata del riciclaggio e ad un diverso approccio al problema ispirato ad una aggressione globale al fenomeno basata sulla combinazione di interventi repressivi e misure di carattere preventivo.
Le attuali tendenze in materia si caratterizzano per forme istituzionali di concertazione delle strategie su base internazionale e per il crescente ricorso a misure di natura amministrativa alla cui attuazione sono chiamati a concorrere anche soggetti estranei agli apparati investigativi o giudiziari, individuati dapprima negli intermediari creditizi e finanziari e, in tempi recenti, a seguito delle ultime produzioni normative comunitarie, in una ulteriore serie di soggetti e categorie di professioni
(13) utilizzabili, i cui margini di responsabilizzazione nello specifico settore sono in continua espansione.
In ossequio a questa nuova filosofia antiriciclaggio il sistema finanziario è chiamato a fare riferimento a principi deontologici rispondenti ad una logica di autoregolamentazione a cui aderire indipendentemente dall'esistenza o meno di disposizioni che lo impongano, ma principalmente per adempiere ad un dovere morale nell'interesse della collettività.
(14)
Il ricorso sempre più frequente all'adozione di testi normativi a livello internazionale è conseguenza dell'accertata frequenza statistica delle ipotesi in cui il reato in questione si realizza sul territorio di più Stati assumendo una oggettività giuridica a dimensione multinazionale.
(15)
Tali produzioni si differenziano fortemente fra loro sotto il profilo contenutistico, per l'ambito geografico di applicazione nonché per la diversa efficacia esplicata sugli ordinamenti nazionali.
All'interno di questo corpo normativo è possibile distinguere una prima tipologia di atti, definibili a vocazione universale,
(16) indirizzati alla comunità internazionale nel suo complesso. Atti che, essendo destinati ad incidere su sistemi giuridici estremamente eterogenei, si caratterizzano per una certa genericità delle disposizioni che devono consentire un elevato grado di flessibilità in sede di implementazione nel diritto interno.
Esiste poi una seconda categoria di atti, c.d. a vocazione regionale, destinati ad essere applicati in ambiti geografici più ristretti ed omogenei e che, pertanto, presentano un diverso livello di approfondimento e in alcuni casi una più diretta incidenza sugli ordinamenti nazionali.
2.1 La Convenzione di Vienna
Le prime disposizioni antiriciclaggio adottate in ambito internazionale sono contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico delle sostanze stupefacenti e sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 19 dicembre del 1988,
(17) che segna il coronamento, sul piano normativo, di un impegno pluridecennale delle Nazioni Unite nel campo della lotta alla droga
(18) e rappresenta, nel contempo, il primo strumento internazionale di larga portata contenente una espressa menzione del reato di riciclaggio e dell'obbligo di confisca dei proventi di reato.
(19)
Trattandosi di un atto destinato a fornire una risposta ad un diverso fenomeno criminale, l'approccio non poteva che essere di tipo settoriale tanto che l'applicabilità delle misure predisposte è limitata al solo riciclaggio di proventi derivanti dalla produzione, coltivazione, trasformazione e qualsiasi forma di commercio di sostanze stupefacenti, nonché alla organizzazione, alla direzione e al finanziamento di tali tipi di attività.
Deve tuttavia osservarsi che l'attualità e la centralità dell'emergenza droga, e l'intensità con cui è generalmente avvertita, hanno certamente favorito l'approvazione di norme che forse non avrebbero avuto uguale sorte se isolate da tale contesto.
La Convenzione ha imposto agli Stati firmatari l'adozione di provvedimenti tali da conferire una rilevanza penale alla particolare figura delittuosa provvedendo anche a fornirne una definizione attraverso la descrizione di una serie di generiche condotte rilevanti ai fini della costruzione della fattispecie.
Nella medesima sede è stato anche affrontato il tema della cooperazione internazionale dettando precise regole che, riferendosi espressamente ai reati contemplati nell'atto convenzionale, e quindi anche al riciclaggio, risolvono in radice il problema della doppia incriminabilità rendendo meno problematico il funzionamento dei meccanismi di estradizione.
(20)
La normativa, inoltre, escludendo la natura politica del reato quale presupposto per negare l'estradizione o altre forme di assistenza giudiziaria, ha eliminato uno dei più frequenti ostacoli riscontrati in ambito internazionale nella repressione dei reati.
Analogamente è stata preclusa la possibilità di attribuire al reato di riciclaggio una natura fiscale che lo escluderebbe da ogni forma di cooperazione giudiziaria.
Al fine di conferire maggiore incisività ai provvedimenti in esame, è stata posta particolare attenzione all'aspetto dell'aggressione dei patrimoni illeciti prevedendo la possibilità di richiedere allo Stato estero nel quale siano localizzati, l'applicazione di misure tanto provvisorie (sequestro) quanto definitive (confisca).
(21)
In tema di confisca, adottando una soluzione all'epoca sconosciuta non solo nell'ordinamento italiano, è stata prevista, dall'articolo 5, comma 1°, la c.d. confisca di valore, ovvero la possibilità di agire, secondo le procedure nazionali, per addivenire alla confisca, non solo dei beni individuati come provento di reato, ma anche di beni il cui valore corrisponda a quello di tali proventi.
(22)
La Convenzione di Vienna, pur se limitata ad un preciso settore criminale, ha prodotto ugualmente risultati apprezzabili determinando la criminalizzazione della figura del riciclaggio in un elevato numero di Paesi e costituendo occasione, in altri, per sottoporre a revisione la disciplina al tempo vigente.
Ha inoltre richiamato l'attenzione della comunità internazionale sul problema conferendo al riciclaggio un'autonoma rilevanza che prima sembrava non avere.
2.2 Il Gruppo di Azione Finanziaria
A conferma del rinnovato interesse maturato nella comunità internazionale verso il fenomeno, nel luglio 1989, in occasione del Vertice di Parigi dei Capi di Stato e di Governo dei sette Paesi più industrializzati (G7),
(23) è stata istituita una Task force rispondente all'esigenza di affrontare il riciclaggio in quanto tale e non solo come manifestazione riflessa o secondaria di un diverso reato.
Ne è nato il Gruppo di Azione Finanziaria (G.A.F.I.), unica istituzione internazionale che si occupa in via esclusiva di lotta al riciclaggio di denaro sporco.
(24)
Si tratta di un organismo intergovernativo il cui obiettivo è lo sfruttamento delle potenzialità della cooperazione e l'individuazione di misure atte a prevenire l'utilizzo a fini di riciclaggio del sistema bancario e finanziario da parte della criminalità organizzata.
L'azione del Gruppo si concentra su tre direttrici principali: sovrintendere agli sviluppi dei sistemi antiriciclaggio dei Paesi membri, esaminare le tendenze emergenti in tema di tecniche di riciclaggio e promuovere l'attuazione delle Raccomandazioni elaborate e aggiornate nel proprio ambito.
(25)
La sua realizzazione più importante è rappresentata dalla redazione di un testo costituito da 40 Raccomandazioni
(26) che perseguono l'ambizioso obiettivo di diffondere la cultura antiriciclaggio su scala mondiale mediante la promozione di iniziative da attuarsi nel campo del diritto penale, del diritto dei mercati finanziari, nonché della cooperazione internazionale.
L'impianto complessivo si caratterizza per la rilevanza conferita alle misure di carattere preventivo da attuarsi attraverso il coinvolgimento degli operatori bancari e finanziari nelle attività di contrasto in cooperazione con gli organi competenti.
Le istituzioni creditizie e finanziarie rappresentano, infatti, uno strumento estremamente sensibile in quanto istituzionalmente preposte ad effettuare operazioni che, per loro natura, si prestano alla realizzazione di quella separazione fra le ricchezze che ne sono oggetto e l'origine, o la titolarità delle stesse, che rappresenta l'essenza della figura delittuosa.
Le Raccomandazioni del G.A.F.I. sono prive di valore vincolante ma traggono legittimazione dal sostegno politico accordato dai governi alla struttura e dall'inserimento di buona parte dei loro contenuti in atti di natura negoziale successivamente implementati all'interno degli ordinamenti nazionali a seguito dell'esperimento delle procedure di ratifica.
(27)
Il controllo dell'attuazione dei disposti normativi avviene attraverso due procedure cosiddette di autovalutazione e di valutazione reciproca.
La prima si basa sulla compilazione, da parte degli Stati membri, di un apposito questionario finalizzato all'acquisizione di dati quantitativi e qualitativi sulla base dei quali viene elaborata a livello centrale una griglia di attuazione delle Raccomandazioni.
La seconda procedura prevede, oltre al questionario, una ispezione sul posto ad opera di un gruppo di valutazione multidisciplinare
(28) composto da esperti nella materia di differenti estrazioni professionali.
2.3 La Dichiarazione di Basilea
Ad ulteriore conferma della mutata sensibilità generale verso il riciclaggio, il 12 dicembre 1989, il Comitato di Basilea per la Regolamentazione e la Vigilanza Bancaria dei Regolamenti Internazionali,
(29) ha adottato la Dichiarazione di Basilea relativa alla prevenzione dell'utilizzazione criminale del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di origine criminosa.
La rilevanza dell'iniziativa deriva dal fatto che è assente ogni input da parte di soggetti statali ma è lo stesso sistema bancario che, percepita come propria l'esigenza di sottrarsi ad un utilizzo fraudolento a fini di riciclaggio, ritiene di percorrere la via dell'autoregolamentazione elaborando un Decalogo contenente principi e norme di condotta, indirizzati agli enti creditizi.
Il Comitato, nell'occasione, pur prendendo atto della rilevanza penale delle operazioni di riciclaggio, e nel pieno rispetto delle competenze attribuite agli organi giudiziari dagli ordinamenti nazionali, ha riconosciuto unanimemente che un utilizzo distorto del sistema creditizio, in virtù della stretta connessione esistente fra la sua stessa stabilità ed i livelli di fiducia che questo riesce a riscuotere nel pubblico, non poteva essere indifferente agli organismi di vigilanza bancaria.
L'iniziativa si fonda sulla convinzione che il primo presidio contro un utilizzo distorto del sistema debba riconoscersi in un'adesione volontaria ad una serie di regole di condotta e principi di etica professionale capaci di assicurare il rispetto di procedure virtuose.
Conseguenti ad una simile impostazione sono i doveri di collaborazione con gli organi di polizia previsti a carico degli intermediari che, pur nel rispetto delle esigenze di riservatezza proprie del rapporto con la clientela, impongono di non ostacolare le attività investigative e di non favorire operazioni di clienti qualora sussista il sospetto che abbiano ad oggetto beni di provenienza illegale.
Come si può intuire si tratta di una cooperazione difficilmente imponibile con provvedimenti coercitivi, che persegue una finalità di moralizzazione del sistema attraverso un'adesione volontaria ad una serie di principi, di contenuto non solo giuridico, che sono di stimolo al rafforzamento delle migliori pratiche e d'incoraggiamento a forme sempre più efficaci di vigilanza.
2.4 La Convenzione di Palermo
A distanza di anni, e precisamente nel mese di dicembre 2000, a testimonianza del costante impegno profuso dall'Organizzazione delle Nazioni Unite nelle delicate problematiche anticrimine, è stata firmata a Palermo una nuova e più ampia convenzione
(30) avente ad oggetto l'intero settore della criminalità organizzata transnazionale, nell'ambito della quale è stato nuovamente trattato il tema del riciclaggio, confermando l'ormai raggiunta consapevolezza dell'inscindibilità, e della pari rilevanza, dei due aspetti dell'agire criminale: l'accumulazione c.d. primaria di utilità economiche quale obiettivo immediato dell'atto delittuoso ed il successivo riutilizzo delle risorse economiche in cui questo si traduce.
L'atto negoziale, dopo aver fornito una serie di importanti definizioni, finalizzate ad attenuare eventuali successivi problemi interpretativi,
(31) affronta, oltre al tema del riciclaggio, e di quelli già noti delle conseguenti misure ablative e della cooperazione sul piano operativo, quello della destinazione dei beni oggetto di confisca.
Per la verità, ad eccezione di quest'ultima previsione, si tratta di prescrizioni non innovative, già note ai sistemi più evoluti fra i quali gli Stati aderenti all'Unione Europea, ma ancora una volta si deve sottolineare la rilevanza dell'atto sotto il profilo politico e della vastità dei destinatari, fra i quali molti Paesi cc.dd. a rischio sui quali, nonostante la possibilità di frustrazione della portata dei suoi contenuti sostanziali all'esito delle procedure di ratifica, non può non pesare la solennità dell'atto sottoscritto e l'autorevolezza del contesto all'interno del quale è maturata l'iniziativa.
Detto questo, per le considerazioni già esposte, assume importanza relativa l'esposizione analitica delle singole disposizioni, in buona parte già superate da precedenti iniziative che verranno illustrate nei seguenti paragrafi del presente lavoro quali la penalizzazione della figura criminosa del riciclaggio,
(32) in questa occasione non più riferita ai soli reati in materia di droga ma riferita ad una vasta gamma di reati presupposto;
(33) l'istituzione di sistemi di regolazione interna deputati al controllo delle attività suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio; una disciplina normativa relativa alla registrazione delle operazioni finanziarie, all'identificazione degli autori ed alla segnalazione di quelle sospette; l'adozione di strumenti normativi per aggredire direttamente le ricchezze illegali attraverso gli istituti del sequestro e della confisca; il monitoraggio dei movimenti transfrontalieri di capitali, ed il consueto auspicio all'incremento delle pratiche cooperative fra gli organismi competenti su scala transnazionale.
Sicuramente di interesse anche per la portata innovativa, come anticipato, sono le norme relative alla destinazione dei beni o proventi confiscati.
La Convenzione prevede che quando si agisca su richiesta di altro Stato Parte, compatibilmente con le disposizioni di diritto interno, e previa istanza nel senso, sia possibile una restituzione delle ricchezze confiscate al fine di reintegrare i legittimi proprietari di tali beni e, soprattutto, di risarcire le vittime del reato presupposto.
Nell'ambito degli accordi che possono intercorrere fra gli Stati ai sensi della Convenzione, è prevista inoltre la possibilità di devolvere i beni confiscati, o parte di essi, eventualmente previa vendita degli stessi, ad organismi intergovernativi specializzati nella lotta alla criminalità organizzata.
Si è già segnalato che i risultati più significativi in termini di incidenza sui sistemi nazionali e di uniformità di applicazione su scala transfrontaliera sono stati conseguiti in ambito continentale e ciò si è realizzato grazie all'opera del Consiglio d'Europa e della Comunità europea che, rispettivamente, nel 1990 e 1991, hanno adottato i due atti maggiormente significativi nell'ambito della cooperazione internazionale antiriciclaggio: la Convenzione di Strasburgo e la Direttiva n. 308/91, di recente modificata dalla Direttiva 2001/97.
Convenzione e Direttiva, nella sua attuale stesura, concorrono a delineare il quadro normativo regionale ma è bene precisare che si tratta di atti sostanzialmente diversi, destinati non solo ad operare in diversi ambiti geografici, ma anche dotati di una differente efficacia.
Con riferimento agli obiettivi finali, entrambi gli strumenti incidono sui sistemi penali rafforzando il quadro repressivo generale, ma la Direttiva, rispetto alla Convenzione, pone maggiore enfasi sulle misure di natura preventiva attuate coinvolgendo il sistema finanziario.
Il testo comunitario inoltre, sebbene abbia inizialmente ripreso nella sostanza strumenti e concetti già contenuti nella Convenzione, si caratterizza per essere il primo provvedimento normativo antiriciclaggio adottato a livello sovranazionale destinato ad avere un valore legale all'interno degli Stati membri.
3.1 La Convenzione di Strasburgo
Il Consiglio d'Europa è stato il primo organismo internazionale a percepire la gravità degli effetti del riciclaggio sull'economia legale ed ha fornito una risposta al problema istituendo, già nel 1977, un Comitato di esperti incaricato di studiare un'adeguata strategia di contrasto.
Il risultato dei conseguenti lavori è rappresentato dalla Raccomandazione sulle misure di trasferimento e la protezione dei fondi di origine illecita negli Stati membri del Consiglio d'Europa del 1980.
(34)
Si tratta di un mero atto di indirizzo privo di efficacia vincolante e dai contenuti alquanto generici che, per contro, presenta il pregio di aver individuato nella prevenzione del fenomeno una delle direttrici strategiche dei futuri interventi.
Le tendenze anticipate nella Raccomandazione del 1980, hanno trovato un più esaustivo sviluppo nella Convenzione di Strasburgo che rappresenta la prima risposta organica di natura normativa al riciclaggio elaborata in ambito internazionale.
In questa sede sono stati affrontati alcuni aspetti del fenomeno trascurati a Vienna, pervenendo all'adozione di un complesso normativo ispirato ad un approccio globale sensibile tanto all'esigenza di perseguire sul piano penale le operazioni di riciclaggio di respiro transnazionale, quanto a quello di prevenirne la realizzazione con misure di natura amministrativa.
(35)
L'obiettivo dichiarato è stato quello di facilitare la cooperazione internazionale stimolando, da un lato, la convergenza verso livelli minimi di uniformità delle discipline nazionali vigenti;
(36) dall'altro, di creare le condizioni per una più stretta collaborazione fra gli organi inquirenti competenti.
Circa il primo aspetto, analogamente a quanto stabilito dalla Convenzione di Vienna, le parti si sono impegnate ad apportare le opportune modifiche ai loro sistemi penali al fine di conferire al riciclaggio la natura di reato e ad adottare efficaci meccanismi procedurali per consentire la confisca dei beni che ne costituiscono oggetto, con previsione ulteriore della possibilità di intervenire con misure di carattere cautelare ogni qual volta sussista il pericolo di una loro dispersione.
Sotto il secondo aspetto, sono previste forme di collaborazione, fra gli apparati statali competenti, basate essenzialmente su scambi informativi e sulla concertazione delle tecniche investigative.
Nell'affermare la penalizzazione del riciclaggio
(37) è stato risolto lo spinoso problema dei reati presupposto estendendone il concetto a tutti i reati gravi.
I redattori dell'atto, consapevoli dell'impatto che una simile affermazione di principio poteva determinare, hanno previsto un correttivo riconoscendo alle parti la possibilità di limitarli ad un numero inferiore di fattispecie inviando una esplicita Dichiarazione, indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa, da presentarsi al momento della firma o, al più tardi, al momento del deposito degli strumenti di ratifica.
Le norme dettate in tema di cooperazione sul piano operativo riguardano tanto l'assistenza nella conduzione delle indagini, quanto quella giudiziaria necessaria per pervenire alla confisca dei proventi con possibilità, se richiesto da altra Parte nel cui territorio sia pendente un procedimento penale, di adottare misure cautelari.
(38)
Si tratta di una assistenza la plus large possible dovuta alle controparti che ne facciano richiesta, non solo per addivenire al rintraccio dei proventi, ma anche per tutte le acquisizioni probatorie del caso.
(39)
I doveri di assistenza e collaborazione imposti dall'atto negoziale possono essere derogati solo nei casi espressamente previsti, tutti sostanzialmente riconducibili a ipotesi di pregiudizio di interessi essenziali della Parte richiesta o contrasto con i principi fondamentali del suo ordinamento giuridico.
(40)
La Convenzione ha imposto altresì la confisca di valore,
(41) istituto già contemplato dalla Convenzione di Vienna ma non ancora introdotto in tutti i sistemi europei.
La procedura di confisca internazionale così introdotta, integra la precedente possibilità di ottenere unicamente la c.d. estradizione materiale, ovvero la consegna di oggetti o beni individuati nel possesso della persona al momento dell'arresto o comunque utilizzabili come prove a carico.
(42)
3.2 La Direttiva comunitaria n. 308/91
A distanza di circa un anno è intervenuta l'iniziativa della Comunità europea che, in una fase ormai prossima al completamento del Mercato Unico, non poteva più rimanere insensibile alla minaccia rappresentata dal riciclaggio.
La Direttiva comunitaria, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite,
(43) nelle intenzioni dei redattori, tendeva a realizzare un livello minimo di armonizzazione fra le legislazioni nazionali degli Stati membri che consentisse di fornire al problema una risposta, quanto più possibile uniforme, in un momento in cui l'evoluzione del processo d'integrazione e liberalizzazione (completamento del Mercato Unico, realizzazione della libera circolazione dei capitali, dei mezzi di pagamento e dei servizi finanziari) sembrava, suo malgrado, creare condizioni sempre più favorevoli all'espansione ed al consolidamento del fenomeno.
(44)
L'atto, i cui contenuti erano in perfetta sintonia con i risultati già conseguiti in altre sedi internazionali,
(45) è stato adottato dopo un lungo ed acceso dibattito relativo alla definizione della sua base giuridica
(46) resa problematica in virtù delle interferenze della materia regolata con il diritto penale che, si rammenta, non è materia comunitarizzata.
(47)
La decisione definitiva è stata presa dal Consiglio dei Ministri che ha definito la questione prevedendo la sottoscrizione di una apposita Dichiarazione dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri con la quale si ribadiva l'impegno di approvare, entro il 31 dicembre 1992, tutte le misure legislative necessarie per adeguare la normativa interna agli obblighi imposti.
(48)
Quanto ai destinatari della disciplina, benché siano formalmente gli Stati membri, le specifiche previsioni sono state indirizzate di fatto agli enti creditizi e finanziari, così come definiti dalla legislazione bancaria comunitaria dell'epoca.
(49)
Si trattava di definizioni da intendersi in senso ampio che comprendevano tutti gli intermediari finanziari professionali, comprese le succursali di enti creditizi e finanziari con sede all'esterno della Comunità
(50) ma operanti sul suo territorio anche se deve rilevarsi, non coprono tutte le forme di attività professionale che possono, a vario titolo, essere sfruttate per realizzare operazioni di riciclaggio.
(51)
La penalizzazione del riciclaggio
(52) è stata riaffermata in termini di obbligatorietà ma si è purtroppo registrata una regressione con riferimento al concetto di reato presupposto, il cui novero è stato limitato ai soli delitti già indicati dalla Convenzione di Vienna.
La restrizione dell'ambito di applicazione al solo fenomeno droga ha posto una serie ipoteca sull'efficacia della disciplina comunitaria anche se la stessa norma auspicava, ma in termini di assoluta discrezionalità, un'estensione ad ogni altra attività che gli Stati membri considerassero rilevante ai fini dell'oggetto della Direttiva.
La portata della disposizione risultava ulteriormente ridimensionata dall'assenza di precise indicazioni circa la natura e l'entità delle relative sanzioni, la cui definizione non poteva che essere rimessa al libero apprezzamento delle autorità nazionali.
L'impossibilità di incidere sui sistemi penali, limite proprio di tutte le iniziative assunte in contesti internazionali, frustra la possibilità di garantire livelli accettabili di uniformità applicativa e consente agli operatori economico-criminali di elaborare mirate strategie di forum shopping concepite per lo sfruttamento delle opportunità offerte dall'esistenza di diversi livelli di attuazione delle previsioni comunitarie.
(53)
La Direttiva ha previsto la realizzazione di un costante scambio di informazioni fra gli intermediari finanziari, da un lato, e le autorità antiriciclaggio dall'altra, provvedendo a disciplinarne le modalità concrete nell'intento di conferire livelli di trasparenza più elevati al sistema finanziario.
Agli intermediari veniva attribuito per la prima volta un ruolo da interlocutore qualificato degli organismi inquirenti con i quali sono chiamati a cooperare attraverso una fitta rete di scambi informativi, su richiesta da parte delle competenti autorità e, in presenza di elementi di sospetto liberamente valutabili, anche d'iniziativa.
La disciplina relativa all'analisi delle operazioni da loro effettuate, con conseguente obbligo di segnalazione alle autorità antiriciclaggio di quelle ritenute sospette, istituto tuttora centrale in ogni impianto normativo antiriciclaggio, evidenzia in tutta la loro onerosità le incombenze che gravano sugli intermediari che sono chiamati a valutare, caso per caso, le singole operazioni esprimendo apprezzamenti estremamente complessi e delicati.
(54)
La Direttiva si è posta anche l'ambizioso obiettivo di assicurare maggiori livelli di trasparenza prevedendo doveri di identificazione in caso di operazioni di ammontare superiore ad una determinata soglia o, a prescindere dall'entità dell'operazione, in presenza di indizi o sospetti di finalità di riciclaggio.
(55)
Apprezzabile è anche il tentativo di scalfire uno dei santuari del sistema bancario, la disciplina del segreto, tanto che, nel corso dei lavori preparatori, sembrava si volesse operare una sorta di inversione di priorità fra la tutela della riservatezza a favore del singolo cliente e l'esigenza di ordine generale di rendere maggiormente trasparente il sistema.
Il principio è esposto con chiarezza nel preambolo ma la relativa trasposizione nel testo normativo non è stata così univoca. Il testo si limita, infatti, ad affermare una generica esenzione di responsabilità derivante dalla violazione delle norme poste a tutela del segreto quando l'infrazione si sia resa necessaria per adempiere in buona fede agli obblighi imposti.
La disciplina si è spinta anche a dettare norme relative all'organizzazione interna degli enti interessati imponendo adeguate procedure che garantiscano l'efficacia dei controlli richiesti sulle operazioni e la celerità delle prescritte comunicazioni alle autorità competenti con la previsione di idonei sistemi di controllo interno tendenti alla verifica della rispondenza, in termini di funzionalità, della struttura aziendale agli adempimenti imposti.
Il dibattito precedente all'adozione della Direttiva ha costituito inoltre occasione per affrontare il problema rappresentato dai paradisi finanziari esistenti all'interno del continente europeo o in Paesi soggetti all'influenza di Membri dell'Unione.
Il tema è stato introdotto dal Comitato Economico Sociale che nel suo parere ha evidenziato la necessità di estendere l'applicabilità della Direttiva ai territori che rientrano nella zona di influenza degli Stati membri…nonché ai Paesi della zona di libero scambio,
(56) ma la sollecitazione non ha avuto alcun esito e l'ambito di applicazione dell'atto normativo è rimasto delimitato ai soli territori degli Stati membri.
(57)
3.3 Limiti della Direttiva comunitaria
L'imponente processo di liberalizzazione delle economie mondiali vissuto negli anni '90 ha ben presto evidenziato i limiti dello strumento normativo comunitario dimostratosi incapace, nonostante i pregi evidenziati in precedenza, di mantenere il passo con una realtà in fase di rapidissima trasformazione.
Un primo limite è emerso in relazione alla individuazione dei reati presupposto circoscritti ai soli reati connessi al traffico di droga anche se l'invito ad aumentarne la gamma è stato raccolto dalla maggior parte dei Membri.
Un ulteriore spunto problematico è stato offerto dalla definizione dell'ambito di applicazione soggettivo della Direttiva sul quale sarebbe stato opportuno fare maggiore chiarezza.
Il rinvio alle disposizioni contenute nella legislazione bancaria comunitaria, inoltre, si è rivelato insufficiente e non ha eliminato ogni possibilità di confusione.
Altre perplessità sono sorte a seguito dell'adozione della Direttiva relativa ai servizi d'investimento,
(58) successiva a quella sul riciclaggio, che ha delineato figure non sempre perfettamente riconducibili alle definizioni precedentemente esistenti.
Il punto più delicato è stato tuttavia quello relativo alla copertura delle attività estranee al settore finanziario di cui all'articolo 12
(59) il quale, sebbene configurasse un vero e proprio obbligo di estensione, era carente nella sua formulazione che, data l'eccessiva genericità, lasciava ampi margini discrezionali in sede di attuazione nonostante la prassi testimoniasse, già allora, uno spostamento delle attività di riciclaggio dal settore bancario tradizionale alle imprese o professioni non finanziarie.
Sulla scorta delle valutazioni dell'esecutivo comunitario,
(60) il Parlamento europeo, con proprie Risoluzioni,
(61) ha più volte sollecitato una revisione della Direttiva, la cui modifica è divenuta un impegno formale nell'ambito del Piano d'azione per i servizi finanziari, adottato dal Consiglio Europeo di Colonia nel giugno 1999.
(62)
La Direttiva originaria creava non pochi problemi anche con riguardo ad uno degli istituti più importanti dell'intero impianto normativo, le operazioni sospette, in relazione alle quali non era sempre chiaro a quale autorità dovessero essere indirizzate.
In particolare non era specificato il destinatario delle segnalazioni originate da succursali di enti creditizi aventi sede centrale in altro Paese membro, né a quale dei due Paesi, quello ospitante la sede centrale o quello ove fossero stabilite le succursali, spettasse assicurare il rispetto della Direttiva.
Le stesse definizioni di ente creditizio ed ente finanziario, alla luce delle grandi trasformazioni intervenute nel settore e della citata Direttiva n. 93/22, non risultavano più adeguate a garantire una sufficiente copertura soggettiva.
Al fine di porre rimedio a quanto lamentato adeguando gli strumenti normativi alla mutata realtà, la Commissione ha quindi formulato una proposta di Direttiva, poi fatta propria dal Consiglio e dal Parlamento, recante modifiche all'impianto della n. 91/308
(63) il cui iter si è concluso con la definitiva adozione della già citata Direttiva di modifica, sui cui tempi di approvazione ha inciso in maniera determinante la tragedia dell'11 settembre.
3.4 La cooperazione intergovernativa in ambito Unione Europea
Esaminando per intero lo sviluppo del percorso che ha portato a questo importante risultato, corre l'obbligo di evidenziare che già prima del tragico fatto, lo sviluppo della cooperazione in materia di riciclaggio fra i Paesi della Comunità aveva ricevuto impulso dall'istituzione dell'Unione Europea che ha aperto nuove e più ampie prospettive in tema di cooperazione in campo penale.
Il Trattato di Maastricht, con riferimento al tema specifico, ha preso atto tanto delle esigenze di tutela degli interessi comunitari che il processo di integrazione economica comporta, quanto, molto realisticamente, della necessità di non scalfire il monopolio in materia penale che gli Stati membri intendono difendere con fermezza.
La soluzione, per certi versi ambigua, si è concretata nell'introduzione della materia penale fra le competenze dell'Unione attraverso l'adozione di un'articolata normativa relativa alla cooperazione giudiziaria e penale - il titolo VI - e nel suo inquadramento nell'ambito di uno specifico pilastro, Giustizia e affari interni, che la colloca al di fuori del contesto comunitario vero e proprio.
Nonostante la descritta ambiguità del legislatore comunitario è tuttavia innegabile che nel concreto si siano registrati dei progressi e siano fiorite iniziative destinate ad incidere nella materia.
Nel corso del Consiglio Europeo di Dublino, svoltosi il 13 e 14 dicembre 1996, preso atto delle istanze che pervenivano dalle stesse Istituzioni comunitarie, è stato costituito il Gruppo di alto livello con l'incarico di redigere un Piano di azione globale contro la criminalità organizzata contenente specifiche Raccomandazioni per gli Stati membri.
Il Piano,
(64) presentato ed approvato il 28 aprile 1997 al Consiglio Europeo di Amsterdam, era articolato in 30 Raccomandazioni precedute da 15 orientamenti politici esplicativi delle strategie globali.
Il riciclaggio veniva trattato nel capitolo VI rubricato Criminalità organizzata e denaro ove era riaffermata la necessità di criminalizzarne la figura e di rendere effettivi i meccanismi di confisca transfrontaliera.
L'approccio, in perfetta sintonia con gli indirizzi G.A.F.I., è stato quello di ricercare, attraverso la promozione di iniziative negoziali da realizzarsi nell'ambito delle tradizionali forme di cooperazione intergovernativa, un progressivo riavvicinamento delle legislazioni nazionali combinando misure di stampo repressivo con misure destinate ad operare sul piano della prevenzione e miranti ad un sempre più effettivo coinvolgimento di ogni altra categoria di soggetti individuati come possibili destinatari delle normative antiriciclaggio.
Di grande rilievo, in relazione alle già evidenziate limitazioni circa l'ambito di applicazione soggettivo della prima Direttiva, è stato l'invito ad elaborare standard a livello europeo per estenderne gli obblighi a particolari categorie di professionisti a rischio suscettibili di coinvolgimento in operazioni di riciclaggio.
L'influenza delle iniziative G.A.F.I. è stata altresì evidente laddove si prevedevano meccanismi di reciproca valutazione circa l'osservanza, a livello nazionale, degli strumenti elaborati in sede internazionale.
(65)
Sull'onda degli impegni assunti in tale ambito, è stata adottata dal Consiglio dei Ministri, nel mese di dicembre 1998, un'azione comune ai sensi dell'articolo K3 del Trattato istitutivo l'Unione Europea
(66) relativa al riciclaggio di denaro e sull'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato
(67) che ha ribadito ulteriormente l'urgenza di interventi organici ed incisivi nello specifico settore.
La cooperazione penale e la lotta contro la criminalità organizzata, hanno ricevuto un ulteriore impulso con il Trattato di Amsterdam
(68) che ha riformulato il titolo VI ed ha affrontato per la prima volta, in termini espliciti, il tema dell'armonizzazione delle normative penali che cessa di essere solo un problema dottrinale.
L'articolo 29 stabilisce che rientri fra gli obiettivi dell'Unione, quello di fornire ai cittadini un livello elevato di libertà, sicurezza e giustizia attraverso la prevenzione e la repressione delle più gravi forme di criminalità organizzata in relazione alle quali è richiesto di assicurare la compatibilità delle normative applicabili negli Stati membri al fine di rendere quanto più omogenea possibile l'azione repressiva in tutti i loro territori.
In particolare, si è giunti sino a prefigurare la progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni, per quanto riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti.
(69)
Tale elencazione delle fenomenologie criminali rilevanti è tassativa, anche se ampliabile a cura del Consiglio, ma sebbene il reato di riciclaggio non risultasse fra quelli espressamente menzionati, è di tutta evidenza la stretta connessione esistente fra queste attività ed il riciclaggio dei relativi proventi.
(70)
La lotta al riciclaggio è stata trattata anche in occasione della riunione straordinaria del Consiglio Europeo, tenutasi il 15 e 16 ottobre 1999 a Tampere sul tema dell'attuazione all'interno dell'Unione, dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, già oggetto del Piano d'azione richiesto dal Consiglio Europeo di Cardiff del giugno 1988 ed approvato dal Consiglio Europeo di Vienna l'11 dicembre 1998.
(71)
Nel documento conclusivo, il riciclaggio è stato definito il nucleo stesso della criminalità organizzata e sono state richieste, ai Paesi membri, iniziative in ambito nazionale capaci di migliorare la trasparenza delle transazioni finanziarie ed accelerare gli scambi informativi fra le rispettive unità di informazione finanziaria.
Nel capitolo della relazione finale dedicato alle azioni specifiche contro il riciclaggio
(72) , sono state ancora una volta richiamate le Raccomandazioni G.A.F.I. e la Convenzione di Strasburgo e sono stati altresì esortati il Consiglio ed il Parlamento europeo ad accelerare i lavori per il varo definitivo della Direttiva di modifica della n. 91/308.
Il 20 marzo 2001, il Parlamento europeo ha depositato la propria raccomandazione per la seconda lettura
(73) relativa alla posizione comune del Consiglio contemplante una serie di misure integrative studiate per ovviare ai limiti evidenziati.
3.5 La Direttiva comunitaria di modifica
La Direttiva di modifica, recependo quanto emerso nel dibattito istituzionale, ha dapprima affrontato la ridefinizione di ente creditizio e relative succursali, sostituendo il rinvio alle Direttive n. 77/780 e 89/646 con quello più attuale alla Direttiva n. 2000/12.
(74)
La definizione di ente finanziario, come impresa diversa da un ente creditizio, è formulata con riferimento alle attività contenute all'allegato I della Direttiva sopra citata,
(75) alle quali si aggiungono molto opportunamente quelle degli uffici di cambiavalute e delle imprese di trasferimento fondi.
Rientrano altresì nella definizione le imprese assicuratrici,
(76) le imprese di investimento
(77) e gli organismi di investimento collettivo che commercializzino le proprie quote o azioni.
La definizione del reato di riciclaggio viene mantenuta
(78) ma il concetto di attività criminosa, cui si fa riferimento, viene esteso a qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave fornendo, nel contempo, una definizione dello stesso termine reato grave che abbraccia, oltre a quelli già contenuti nell'art. 3 della Convenzione di Vienna, le attività svolte all'interno di organizzazioni criminali,
(79) le frodi comunitarie di cui alla Convenzione relativa alla protezione degli interessi finanziari della Comunità
(80) , la corruzione e, come norma di chiusura, qualsiasi reato che possa fruttare consistenti proventi e sia punibile con pena detentiva in base al diritto penale dello Stato membro.
(81)
Di analoga rilevanza è stato l'ampliamento dell'ambito di applicazione oggettivo che, oltre agli enti creditizi e finanziari nella loro nuova definizione, comprende anche un importante elencazione di professioni e attività che l'esperienza giudiziaria recente ha individuato come potenziali strumenti riciclaggio.
In particolare, gli obblighi vengono estesi ai revisori, ai contabili esterni e consulenti tributari, ai notai ed agli esercenti le professioni legali
(82) , ai commercianti di preziosi od opere d'arte ed alle case d'asta per le operazioni superiori a 15000 euro ed alle case da gioco.
Per tutti i soggetti di sui sopra, destinatari della Direttiva, sono stati altresì ribaditi, in termini più puntuali, gli obblighi di identificazione
(83) ed è stata integrata la disciplina delle segnalazioni di operazioni sospette chiarendo in modo inequivocabile che i destinatari delle stesse sono da riconoscersi nelle autorità responsabili per la lotta al riciclaggio dello Stato nel cui territorio è situato l'ente o la persona che trasmette l'informazione.
Per i notai ed i liberi professionisti, vista la delicatezza della loro posizione in ordine al rapporto fiduciario che intrattengono con il cliente e delle strette implicazioni con la disciplina del segreto professionale, è stata data facoltà agli Stati di individuare, come destinatari delle segnalazioni, gli organismi di autoregolamentazione professionale (gli Ordini professionali) stabilendo autonomamente i criteri di collaborazione con le autorità antiriciclaggio.
(84)
La nuova normativa dovrà trovare attuazione entro il 15 giugno 2003, termine scaduto il quale, per ormai pacifica interpretazione, la Direttiva troverà diretta applicazione per tutto quanto sufficiente chiaro ed incondizionato.